Enea Pedrini, 75enne leventinese trapiantato a Sorengo, è pronipote di un cameriere naufragato col Titanic. Ma è stato anche un grande esercente in un bar luganese che proprio nel 2020 compie 90 anni.
A 75 anni si guarda alle spalle e si sente in pace con gli altri e con sé stesso. Niente male per uno nato il 13 maggio del 1945. «Sul finire della seconda guerra mondiale».
Enea Pedrini, leventinese doc trapiantato a Sorengo, è un uomo mite, profondamente legato al bar di famiglia, nel centro di Lugano, che proprio in questo periodo festeggia i 90 anni di storia. «Io ci ho lavorato per un quarto di secolo. Poi in seguito a problemi di salute, mi sono felicemente riciclato come economo- contabile in una casa per anziani».
Per tanti è lo “zio”
Oggi l’“ex Pedro”, glorioso ritrovo situato in via al Forte, è gestito dalla nipote Moira, figlia di Jole. «Jole era mia sorella, nonché il mio braccio destro nel portare avanti l’esercizio pubblico, è deceduta 20 anni fa». Qui Enea viene chiamato “zio” un po’ da tutti. Lui che a lungo è stato intrattenitore e tuttofare del locale. «Sono venuto al mondo proprio in questo stabile. Al secondo piano per l’esattezza. E a poche decine di metri ho frequentato le scuole elementari».
Detto ciò, il 75enne precisa: «Mi piace Lugano. Ma a casa si parla anche il dialetto di Osco. Lingua appresa da bambino durante le vacanze in Leventina». Osco, incantevole nucleo che oggi fa parte di Faido, la patria della famiglia Pedrini.
Lassù, tra le montagne, Enea ha ancora la casa materna e nasconde il suo piccolo, grande segreto. «Che poi tanto segreto non è. Sono pronipote di Alessandro Pedrini, cameriere morto nel 1912 nel naufragio del Titanic. Nell’osteria della piazza di Osco, appesa a un muro, c’è ancora l’ultima lettera che Alessandro scrisse alla sorella Maria prima di imbarcarsi. È un reperto storico. Paradossalmente la gente è più interessata adesso a questa vicenda, rispetto a quando ero ragazzo io».
Si narra che i genitori di Alessandro Pedrini partirono da Osco a piedi per recarsi a Milano, dove possedevano un negozio di frutta e verdura. «Alessandro, che aveva otto fratelli e una sorella, la metà dei quali morti prima dei 20 anni, girò il mondo come cameriere. A un certo punto arrivò a Londra, dove un famoso Gatti della Valle di Blenio gli procurò un ingaggio sul Titanic. La nave partì da Southampton in direzione di New York. E il resto lo sapete. Mio prozio affondò lentamente tra le acque dell’Oceano Atlantico nelle prime ore di quel 15 aprile 1912».
Un Ticino di migranti
Enea ci mostra l’atto di morte del parente scomparso col Titanic, e tutte le carte relative alla sua famiglia. «A Osco c’è ancora la tomba del prozio, e c’è sempre qualcuno che la tiene sempre pulita. Sono vicende che ti fanno capire come era il Ticino di oltre 100 anni fa. Povero, pieno di insidie. Eravamo un popolo di migranti, costretti a inseguire i nostri sogni altrove. A volte ce ne dimentichiamo. Dobbiamo essere grati a chi è vissuto prima di noi».
Un valore che il 75enne leventinese, già presidente della pro loco di Osco, ha sempre cercato di trasmettere anche ai suoi due figli. «Uno fa il fisico, l’altra l’infermiera. Entrambi lavorano in Svizzera tedesca. Fare esperienze altrove è importante; io ad esempio ero stato a Soletta a imparare il tedesco, e poi ho fatto la scuola alberghiera di Losanna. Anche mia moglie Ruth viene da oltre Gottardo, dal canton Berna. Era arrivata in Ticino per imparare l’italiano, faceva l’assistente di farmacia. Doveva restare per qualche mese, invece sono 50 anni che è sposata con me e abita in Ticino».
Il lato umano della vita
Poi Enea torna a parlare di un’altra grande svolta che ha contraddistinto la sua vita. «A un certo punto non ce la facevo più con il bar. C’erano stati troppi cambiamenti, ero stressato, la salute cominciava a risentirne. Per fortuna che nel 1991 mi si è aperta una nuova porta. L’amministrazione della casa di riposo “Stella Maris” di Bedano era alla ricerca di un economo contabile. Fui assunto e occupai quella posizione fino al 2010, quando poi andai in pensione. Diciannove anni meravigliosi. Sapevo trattare con la gente. Sono sempre stato socievole, anche quando giocavo a hockey su ghiaccio nell’Osco, ero sempre alla ricerca del lato umano. Forse è per questo che riuscivo a cavarmela brillantemente con i vari tipi di clientela al bar. La stessa cosa accadeva con gli impiegati e con i famigliari degli ospiti della casa per anziani, anche con quelli più ostici. Sapere leggere il lato più umano della quotidianità mi ha permesso di arrivare a 75 anni felice e senza rancori».